Ho un obiettivo arduo: partecipare ad
una maratona il prossimo mese di marzo. Visualizzo spesso me stessa
mentre corro durante la gara e sono piuttosto condiscendente con i
miei sogni. Permetto alle fantasticherie di offrire un'immagine di me
molto lusinghiera: così mi vedo in gara decisa, concentrata, forte,
con una muscolatura elastica e resistente che mi garantisce un passo
sicuro e felpato. Mi vedo macinare i chilometri come se le gambe
fossero un pullman panoramico su cui mi lascio beatamente
trasportare. Immagino una fatica che si fa modestamente percepire
per lasciare spazio all'emozione dell'essere presente ad una
manifestazione importante.
Mi vedo percorrere l'ultimo
chilometro esuberante, piena di orgoglio, sotto un cielo turchese
punteggiato di coriandoli e di palloncini colorati, attorniata dalla
la gente che dietro le transenne incita con calore a percorrere gli ultimi
metri.
Quindi nella mia immaginazione raggiungo la meta con un ultimo
scatto brillante, come lo saranno i miei occhi lucidi di emozione
quando avrò portato a termine la mia prima maratona.
Ecco questo è il mio sogno ad occhi
aperti, fino a quando non calzo le mie scarpette fucsia e inizio gli
allenamenti, che non hanno mai nulla di poetico e glorioso. E mentre
sbuffo, il mio fiato è breve quanto una virgola e i muscoli delle
gambe sono duri e testardamente rigidi, vedo il mio sogno
disintegrarsi miserevolmente tra una ripetuta e l'altra. In quei
momenti mi domando quanto dovrò allenarmi ancora per raggiunger,
senza strisciare, il traguardo!
Così l'obiettivo maratona è al
confine tra l'esaltazione e il precipizio della dura realtà, ma pur
sempre saldo.
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