martedì 26 novembre 2013

Le ragioni della corsa

Qualche settimana fa mi chiedevo cosa mi spingesse a correre con così tanta costanza e impegno, nonostante la fatica, lo sforzo e un persistente dolore muscolare che non accenna a diminuire. Lo sapevo bene quale fosse il motivo, ma oggi, dopo l'ennesima delusione, la ragione si para più evidente che mai nella mia mente: è perché appartengo alla schiera di coloro che la crisi ha privato di un lavoro e la situazione sembra aver raggiunto un pauroso momento di stallo. Ogni giorno animata da speranze accendo il mio pc e rispondo a tutti gli annunci che hanno attinenza col mio profilo, e anche a quelli che di attinenza ne hanno meno. Cerco le offerte, le aziende, cerco un riflesso di me stessa tra le competenze richieste in tutti gli annunci finti e veri che vengono pubblicati. Questo lavoro quotidiano sembra appartenere ad un girone infernale, perché non si può fare a meno di svolgerlo, bisogna pur scovare questo lavoro da qualche parte, senza averne tuttavia alcun riscontro utile, solo delusioni. Allora ho abbracciato la corsa per attribuirmi da sola un valore, dato che la disoccupazione fa sentire molto deprezzati: essere uno dei milioni di individui che cerca un posto nel mondo sgomenta e avvilisce. Cerco con le mie scarpette fucsia traguardi certi e gratificanti che dipendono solo e soltanto da me, senza la concessione di nessun altro. E' una piccola via di fuga che mi accompagna in questo percorso a volte psicologicamente faticoso, in cui è difficile in alcuni giorni non perdere la stima di sé e l'ottimismo. A volte capisco come ci si deve sentire al fatidico muro del maratoneta, quando il corpo è in sofferenza e si ha voglia di fermarsi e rinunciare. 
Ma non si deve. 
Bisogna spingere le gambe un passo dopo l'altro verso il traguardo.
Spero che la filosofia della corsa mi aiuti sempre a superare i muri che ostacolano i traguardi della vita.

mercoledì 20 novembre 2013

Quando vuoi volare, senza ali


Sembra un obiettivo impossibile, se mi guardo così con questi occhi offuscati dai dubbi e dalle incertezze. Un traguardo lontano, così distante da non visualizzarlo. E' più facile immaginarsi anonima nella folla, tra chi guarda e applaude, che non tra coloro che superano l'arrivo con orgoglio.
Eppure, anche se dovessi valicare quel confine temo che mi sentirei comunque infelice. Tronfia di un obiettivo che è solo mio. Tuttavia imparare ad amarsi significa anche gioire di sé. Allora il sogno cambia i contorni e sono sola con il mio ostinato traguardo. Una piccola sfida contro le paure, le insicurezze e tutti gli ostacoli della mente che frenano prima ancora della stanchezza.
E inseguendo quella che oggi per me è solo una chimera corro, sull'asfalto grigio, nella campagna triste e desolata, costeggiando un canale che trasuda nebbia, nella pioggia pungente che raffredda la pelle, nel vento che spinge nella direzione opposta alla mia, lungo la scia di un timido raggio di luce che sguscia tra le dense nubi. Corro, sola o in compagnia, triste o malinconica, allegra o pensierosa. Aspetto che le ali spuntino prima o poi e che mi conducano al centro dei miei obiettivi, alti, luminosi, belli, miei. E con vigore cerco la falcata più ampia, la distanza che non ho ancora raggiunto, la fatica che mi appaga col risultato. E quando il corpo risponde con energia, quando non c'è freno, ma solo un battito ritmico delle scarpe sulla strada dritta davanti a me, allora mi sento felice, la speranza rifiorisce, mi sembra quasi di poterlo accarezzare quel sogno dorato, anche se non mi appartiene.

I desideri sembrano più facili da raggiungere con i piedi che con le ali e forse presto accorcerò la distanza e li potrò afferrare.

lunedì 4 novembre 2013

Sogni di gloria

Ho un obiettivo arduo: partecipare ad una maratona il prossimo mese di marzo. Visualizzo spesso me stessa mentre corro durante la gara e sono piuttosto condiscendente con i miei sogni. Permetto alle fantasticherie di offrire un'immagine di me molto lusinghiera: così mi vedo in gara decisa, concentrata, forte, con una muscolatura elastica e resistente che mi garantisce un passo sicuro e felpato. Mi vedo macinare i chilometri come se le gambe fossero un pullman panoramico su cui mi lascio beatamente trasportare. Immagino una fatica che si fa modestamente percepire per lasciare spazio all'emozione dell'essere presente ad una manifestazione importante. 
Mi vedo percorrere l'ultimo chilometro esuberante, piena di orgoglio, sotto un cielo turchese punteggiato di coriandoli e di palloncini colorati, attorniata dalla la gente che dietro le transenne incita con calore a percorrere gli ultimi metri. 
Quindi nella mia immaginazione raggiungo la meta con un ultimo scatto brillante, come lo saranno i miei occhi lucidi di emozione quando avrò portato a termine la mia prima maratona.
Ecco questo è il mio sogno ad occhi aperti, fino a quando non calzo le mie scarpette fucsia e inizio gli allenamenti, che non hanno mai nulla di poetico e glorioso. E mentre sbuffo, il mio fiato è breve quanto una virgola e i muscoli delle gambe sono duri e testardamente rigidi, vedo il mio sogno disintegrarsi miserevolmente tra una ripetuta e l'altra. In quei momenti mi domando quanto dovrò allenarmi ancora per raggiunger, senza strisciare, il traguardo!
Così l'obiettivo maratona è al confine tra l'esaltazione e il precipizio della dura realtà, ma pur sempre saldo.