Si spalanca sopra le
nostre teste un cielo di nuvole bianche, il sentiero si ramifica in
lingue di viottoli che si dipartono in tornanti che conducono in cima
alla collina.
L'aria è una carezza
ruvida sul viso, che increspa la pelle e fa girare la testa.
Sono concentrata in un
movimento dinamico di spinta: condurre le gambe in avanti e su in
alto, cercando nei muscoli una fluidità priva di sforzo. Uomini e donne mi incrociano e altri mi superano, passano accanto come colori sfocati che transitano
brevemente nel mio campo visivo. Corrono con le loro magliette
bagnate di sudore, apparentemente senza avvertire fatica.
I miei muscoli si
contraggono dolorosamente, la salita fa un rumore assordante: è il
mio respiro che non si calma, è affrettato, troppo e mi rimbomba nel
cuore e nelle orecchie. Le mie braccia dondolando, mi aiutano ad
affrontare l'ultima pendenza. Si ricomincia poi da capo, discesa,
ripida veloce e di nuovo salita in alto, lentamente e
inesorabilmente, poi di nuovo giù e quindi l'ultima corsa verso la
cima.
Le guance sono accese e
il cuore riprende il battito normale, l'imbrunire della sera scende
malinconicamente nel parco e con esso il momento di tornare a casa.
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