C'era un tunnel bianco
fatto di nebbia vaporosa, come cotone sfilato. Da questa galleria
immacolata s'intravedevano sfocati i colori dei palazzi, delle
insegne, degli alberi. Le gambe ritmavano il loro passo mangiando la
strada e un nuovo turbine freddo le avvolgeva immergendo il corpo in
un'atmosfera irreale. Perfino i suoni sembravano ovattati. Raramente,
come in un sogno, penetrava nella galleria un corridore, con lunghi
cappelli buffi da folletto, avvolti in tute attillate con inserti
fluorescenti. Non sorridevano. Persi nelle nelle fitte foschie dei
loro pensieri, non distoglievano lo sguardo dal nulla che li
circondava. Un incrocio di passi e poi di nuovo la solitudine della
corsa.
L'aria gelida si posava
umida sulle spalle. I capelli e le ciglia si rivestivano di gocce
argentate.
Il muro bianco non si apriva, ostinato e compatto fungeva
da confine con resto del mondo.
Immagini senza significato scorrevano
nella mente come nuvole veloci nel cielo.
Stato di trance, passo
ritmato.
Chilometri e chilometri
umidi, gelidi e solitari, silenziosi.
Il mio corpo caldo e
palpitante in movimento fendeva l'aria dell'inverno, nel freddo, alla
scoperta di una nuova dimensione di sé, cercando sollievo in un
raggio di sole appannato dalla coltre vaporosa. Passo dopo passo,
fino a ritrovare conforto nelle voci della festa, nel brusio di un
mercato, nei profumi delle frittelle e nella folla che spezza
l'incantesimo della lanugine nebbiosa.
Infine la strada verso casa.
Calore e riposo.
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